La Lezione
di Francesca Garello
La battaglia infuriava da parecchie ore, con esito incerto.
Nessuna
delle due parti sembrava riuscire a dare la spinta finale, nessuno
riusciva ad infondere ai propri uomini la scintilla in più che avrebbe
fatto la differenza.
Il Signore di Tannister tuttavia era sicuro che
prima o poi avrebbe conseguito la vittoria che preparava da tanto
tempo. Non aveva lasciato nulla al caso. Prima di giungere allo scontro
aperto aveva tessuto trame diplomatiche per indebolire il suo
avversario sul piano politico e isolarlo da tutti i potenziali alleati.
Aveva percorso con i suoi messi segreti il regno di Sylverinn,
promettendo onori, potere e ricchezze ai vassalli che si fossero
schierati con lui, tradendo il proprio sire. Aveva bruciato di nascosto
i campi dei contadini di Sylverinn per seminare il malcontento tra i
sudditi dell'odiato nemico e diminuire così il numero di quanti
avrebbero risposto alla chiamata alle armi.
E infine, con suo grande
piacere, era scoppiata la guerra, aspra e crudele come tutte, ma ancor
più terribile perché preparata con desiderio di distruzione; ancora più
odiosa perché destinata a spezzare un legame di sangue con il Signore
di Sylverinn.
Il Signore di Tannister, infatti, lo odiava più di
ogni altro al mondo. Il solo scopo della guerra era versare il sangue
che scorreva nelle vene di suo fratello.
Una triste storia, ma non
inconsueta. Due fratelli uguali per nobiltà, bellezza e intelligenza
erano stati divisi dall'invidia di uno solo. Morendo, il Sire di
Osterania aveva voluto di dividere il vasto regno per lasciarne metà a
ciascun figlio maschio. Ma il maggiore, il principe di Tannister,
invece di apprezzare l'equanimità del padre si era sentito defraudato e
aveva covato il suo odio per lunghi anni, mentre l'inconsapevole
fratello condivideva con lui ogni pensiero, ogni speranza, ogni segreto.
Gli
anni passarono, Tannister divenne potente e temuto, e il suo regno si
ingrandì a spese dei suoi vicini. Ma nessuna conquista gli portava
piacere, poiché l'unica cosa che voleva era la vita di suo fratello.
Ed
infine si giunse alla guerra. Ah, con quanta riluttanza il sire di
Sylverinn si lasciò trascinare in quello scontro! Quante volte tentò di
ricondurre suo fratello alla ragione e agli affetti, quante concessioni
fece prima di cedere al suo odio. Ma ogni dono, ogni concessione del
fratello minore accresceva la rabbia del fratello maggiore. La guerra
fu inevitabile. Tannister schierò finalmente l'immenso e spietato
esercito che andava addestrando da anni. La sua potenza era ormai quasi
leggendaria, e molte dicerie circolavano sulle bocche spaventate dei
sudditi di Sylverinn. Qualcuno sostenne che il maligno Tannister
assoldasse creature soprannaturali, qualcuno parlò di magia.
Con il
cuore addolorato Sylverinn armò le sue guardie scelte e la sua
celebrata cavalleria. Infine fu costretto a mettere le armi in mano
anche a contadini, bottegai, ragazzi, vecchi.
E in quella fatale
mattina i due eserciti si scontravano ormai da ore nella piana di
Anthoril, un tempo celebre per i fiori rossi che la trasformavano a
primavera in un mare purpureo, e che ora invece rosseggiava a causa del
sangue. Sylverinn e Tannister seguivano lo scontro dalle alture,
affiancati da generali e attendenti.
Al centro dello schieramento
combattevano i fanti, battendosi in egual modo con energia e
caparbietà. Le truppe di Sylverinn erano meno abili ed esperte di
quelle Tannister, ma reggevano, poiché la pressione su di esse
era alleviata dalle continue cariche della cavalleria di Sylverinn, che
dai fianchi dello schieramento impediva alle truppe fresche di
Tannister di portarsi dalle retrovie verso il centro dello scontro.
La
cavalleria di Sylverinn era molto meno numerosa di quella avversaria,
ma poiché si trattava del celebre Battaglione Sacro il pur esiguo
numero di quei cavalieri era sufficiente a superare le forze della
cavalleria di Tannister.
Il Battaglione Sacro era invincibile. Aveva
servito per secoli il regno di Osterania, vivendo secondo regole quasi
monastiche, sempre risultando vittorioso in ogni scontro, sempre
servendo solo la causa del Bene, la sola causa dei re di Osterania. E
durante tutta la battaglia la sola presenza di questi meravigliosi
cavalieri aveva rassicurato l'eterogeneo esercito di Sylverinn sulle
possibilità di vittoria. I cavalieri del Battaglione Sacro erano solo
trecento, ma sembravano essere ovunque. Quando un gruppo di fanti di
Sylverinn sembrava cedere ecco che un cavaliere correva in loro
soccorso, apparendo come d'incanto per caricare la fanteria nemica; se
qualche inesperto soldato era colto da un improvviso terrore, un
cavaliere lo rincuorava e gli indicava la direzione verso cui
slanciarsi; se i troppo vecchi o i troppo giovani si accasciavano senza
più forze un cavaliere si univa a loro per qualche minuto, alleviando
la fatica e incitando a combattere. Con loro sul campo di battaglia,
pensavano contadini, bottegai, ragazzi e vecchi con le armi goffamente
strette in pugno, nulla di male poteva succedere.
Anche il Sire di
Tannister pensava la stessa cosa. Da ore gli era chiaro che finché quei
maledetti cavalieri fossero rimasti sul campo non ci sarebbero stati
progressi di sorta nello scontro. Quei nobili cavalieri gli erano
invisi quanto il proprio fratello, poiché ai suoi occhi erano niente
più che traditori. Quando il regno di Osterania fu diviso, avevano
scelto di servire entrambi i principi, ai loro occhi essi ugualmente
degni di rispetto e devozione. Tuttavia, quando Tannister aveva reso
palese il suo tradimento avevano deciso di allontanarsi da quel
focolaio di malvagità e di seguire solo il signore di Sylverinn.
Tannister aveva deciso che era giunta l'ora di saldare i conti anche con quello stuolo di rinnegati.
Fece
un gesto deciso della mano verso uno dei suoi generali. L'uomo annuì
con un sorriso sinistro e si allontanò velocemente a cavallo verso il
crinale che dominava il lato dove combattevano i cavalieri del
Battaglione Sacro. Tre figure ammantate di nero apparvero
improvvisamente al suo fianco, come sorgendo dalla polvere sollevata
dagli zoccoli della sua cavalcatura.
Maghi.
Sul campo di
battaglia passarono inosservati fino a che fu troppo tardi. Avvolti nei
mantelli come in neri sudari, gli incantatori cominciarono a cantare.
Il salmodiare cominciò come il sussurro del vento, coperto dello
stridore delle armi. Poi crebbe di intensità, mescolandosi subdolo alle
grida dei combattenti. Infine sembrò espandersi per il cielo come il
tuono che rotola incontrollato tra le nubi della tempesta. I maghi
allungarono le braccia verso i cavalieri, le mani tese, le dita unite
come lame di spade e cominciò la carneficina.
Lampi di luce
scaturirono dalle dita, trasformandosi in globi di fuoco che con
velocità terrificante si slanciarono verso il Battaglione Sacro. Sotto
i primi colpi cadde la gran parte dei cavalieri, dissolvendosi in brevi
fiammate che ricaddero poi sui compagni come una oscena pioggia di
cenere. Coloro che non furono disintegrati caddero da cavallo. Solo
pochi riuscirono a mantenersi in arcione. Tra di essi il Gran Maestro,
che comprese cosa stava accadendo e cercò di organizzare una difesa.
Alzò dunque lo scudo, lo pose davanti a sé come uno schermo e caricò
pieno di rabbiosa disperazione verso la collina su cui i maghi stavano
ancora cantando. I pochi ancora a cavallo lo seguirono al galoppo, e i
cavalieri appiedati brandirono le spade correndo nella stessa direzione.
I
maghi non diedero segno di aver notato la reazione, ma le voci
cambiarono di tono e una nuova melodia cupa e profondamente risonante
si inserì sul tema principale del canto. Aprirono le braccia fino a
toccarsi vicendevolmente le mani, stringendosi in una catena umana
vibrante di energia e formando con i mantelli aperti una sorta di nero
schermo: l'aria davanti ad essi si fece opaca e tremolante, come sui
campi di grano nelle giornate estive. I cavalieri videro l'aria
cambiare, ma continuarono la loro corsa inarrestabile verso la collina.
Il primo a cadere fu il Gran Maestro, che attraversò lo schermo
bruciante con la bella testa orgogliosamente alzata e il grido di
battaglia sulle labbra. Cavallo e cavaliere si dissolsero prima ancora
di aver completamente passato il muro d'energia, le carni dell'uomo e
dell'animale consumate in un unico fuoco, i due compagni di tante
battaglie uniti per sempre nell'ultimo viaggio. Dopo di lui scomparvero
tutti gli altri, attraversando uno ad uno lo schermo nell'ultima carica
e brillando come stelle cadenti nella notte di mezza estate.
Del
Battaglione Sacro rimasero sul campo solo poche decine di uomini
sgomenti, privi di cavalcatura e con poche armi in pugno. Ma non
esitarono, poiché sapevano quale fosse il proprio dovere.
- Fino alla morte!- gridò uno di essi
- Oltre la morte- risposero i compagni.
E si lanciarono a loro volta verso la fatale collina, togliendo gli elmi e gettando gli scudi per correre più in fretta.
I
maghi sciolsero le mani dalla funesta catena che li aveva uniti e
variarono il ritmo del loro canto, che divenne una secca filastrocca di
parole brevi e schioccanti. Abbassarono le braccia e puntarono solo la
mano destra verso gli ultimi avversari: dalle dita una serie di piccole
luci scaturì con lo stesso secco ritmo dei versi, ed ogni scarica colpì
in rapida successione ogni cavaliere, perforando le corazze come burro
e trafiggendoli senza alcuna speranza.
Caduto l'ultimo cavaliere, il
canto cessò bruscamente. Le figure ammantate scomparvero con la
velocità di un battito di ciglia, senza lasciare segno della loro
permanenza in quel luogo.
Un attonito silenzio si riversò
all'istante sull'intero campo di battaglia. L'esercito di Tannister
osservò incredulo la scomparsa dei suoi più valorosi avversari, come se
non sapesse come approfittare di quell'inaspettato vantaggio.
Anche
l'esercito di Sylverinn si fermò e i contadini, i bottegai, i ragazzi e
i vecchi contemplarono atterriti il dissolversi delle loro speranze. Le
loro file cominciarono a ondeggiare, dapprima lentamente e quasi di
malavoglia: alcuni fanti abbassarono le armi e si guardarono intorno
come nella disperata ricerca di qualcuno che dicesse loro come
comportarsi. Ma nessuna risposta giunse alle loro menti sperdute.
Allora il movimento tra le file divenne più frenetico, l'allineamento
dei combattenti si spezzò. Molti girarono le spalle ai loro avversari e
corsero verso le retrovie, cercando una via di fuga a spintoni tra i
compagni che ancora rimanevano ai loro posti. Infine l'esercito di
Sylverinn perse ogni controllo e si diede ad una ritirata scomposta e
cieca. Molti si ferirono tra loro nel tentativo di approfittare di un
varco verso la salvezza, molti furono calpestati dagli amici che
fuggivano senza curarsi di chi avevano intorno. Il terrore aveva
scatenato le sue armate invincibili.
L'esercito di Tannister
approfittò di quello sbandamento. Fu facile trafiggere chi scappava o
spazzare via chi si guardava intorno sperduto. In breve le corse
disordinate cessarono ed entrambi gli eserciti condivisero quella verso
le retrovie di Sylverinn: gli uni scappavano e gli altri li
inseguivano, penetrando sempre più profondamente nel territorio degli
avversari. Qualche capitano di Sylverinn riusciva per brevi momenti a
riorganizzare i propri uomini, ma le parole di comando venivano
soffocate dalle urla dei morenti e il coraggio che cercavano di
infondere era ricacciato nel profondo di quei cuori atterriti. E i
plotoni faticosamente ricomposti si disperdevano ancora.
Il Sire di
Tannister si concesse la prima vera risata dopo molti anni di velenosi
sorrisi. Certo della vittoria si recò ai suoi quartieri. Si fece
versare del vino, offrì da bere ai generali poi con gesto di scherno
alzò il calice e bevve assaporando il rosso vino come il sangue di suo
fratello. Poi ordinò che gli fosse preparato il cavallo: era tempo di
prendere possesso del quartier generale del nemico e dare finalmente
riposo al suo odio.
Anche il Signore di Sylverinn era nei suoi
alloggi e si stava allacciando l'armatura mentre i generali facevano
l'ultimo desolato resoconto. Se le truppe avessero visto il re tra
loro, dicevano i generali, forse avrebbero recuperato un po' di
coraggio. Si vestì, tra le lacrime degli scudieri che lo supplicavano
di non andare, certi di non vederlo mai più.
Così, i due fratelli non videro ciò che accadde a quel punto sul campo di battaglia.
Nella
confusione, un uomo restava in piedi, il viso verso i nemici che
avanzavano, la spada in pugno con un po' di fatica, la stanchezza sul
volto. Un uomo magro, né giovane né vecchio, lo sguardo pensoso. Si
guardò intorno e vide tanti del suo villaggio che scappavano, e altri
già morti giacere a terra intorno a lui. Mentre le lacrime gli
riempivano gli occhi un adolescente sbattè contro di lui nella fuga, e
cadde ai suoi piedi: lo riconobbe, lo rialzò da terra, lo prese per le
spalle per calmarlo.
- Erik, fermati. Quante volte ti ho detto che correre così alla cieca non serve a niente?
Il
ragazzo confuso annuì, si fermò e si mise in piedi compostamente
davanti all'uomo magro, in un gesto evidentemente consueto. - Scusate
signore. Sono stato sciocco. Ma ho tanta paura e non so cosa fare. Non
so neppure dove sono.
L'uomo gli diede un buffetto sulla guancia.
- Cosa vi dicevo quando andavamo fuori? Il ragazzo rispose, senza riflettere.
- State attenti alla direzione, state vicini, non perdetevi di vista.
- E adesso? Dove sono i tuoi compagni? Perché correte senza direzione? Perché non state vicini?
- Non so, corrono tutti, ho perduto i miei compagni, credo...
- Ma guardati attorno Erik: ecco là Karl, e Johannes, e Sonner. E molti altri sono intorno. Su, cerchiamo di riunirci.
L'uomo
si fece largo con fatica tra i fuggiaschi, tenendo per mano il ragazzo,
proteggendolo dai colpi e rincuorandolo. Raggiunse uno ad uno gli altri
e li chiamò a sé.
- Ragazzi, smettete di distrarvi. Non mi fate sempre ripetere tutto. Non lasciate le vostre cose in giro, dove sono le spade?
I
ragazzi spaventati riconobbero il suo viso, capirono le parole che
diceva. Confusamente si guardarono intorno, raccolsero le armi e si
riunirono intorno a lui. L'uomo continuò a parlare con lo stesso tono
autorevole ma rassicurante, dando istruzioni e indicando a ciascuno
dove fermarsi e cosa fare.
- Ognuno si scelga un compagno. Due a
due, sapete come si fa. I ragazzi si riunirono a coppie, serrando i
ranghi e rendendo meno agevole l'attaccarli. Qualcuno azzardò un colpo
di spada chi si avvicina troppo.
L'uomo si muoveva tra di loro, mettendoli in posizione con l'efficienza di chi ha ripetuto quei gesti un'infinità di volte.
- Non datevi contro con i gomiti, lasciate al compagno uno spazio per lavorare. I mancini a sinistra.
I
giovani annuivano sempre più sicuri, eseguendo con precisione e
velocità come mai avevano fatto ai comandi dei capitani. E poiché
capivano bene cosa fare, ogni colpo che portavano era efficace, ogni
attacco respinto, e cresceva in loro la fiducia. L'uomo continuava ad
impartire ordini con voce severa ma calma.
- Chiudete bene le dita intorno alla presa, dritti con le spalle, non state ingobbiti che poi vedete male.
In
breve in mezzo alla ritirata si formò un piccolo gruppo che combatteva
unito, cercando di non perdersi di vista e disposto a cerchio per
fronteggiare gli attacchi. In quel punto l'avanzata delle truppe di
Tannister si rallentò molto, come un fiume nel punto in cui affiorano
delle rocce. Altri soldati si aggiunsero, poiché molti riconobbero
l'uomo o uno dei ragazzi, e venne loro spontaneo aggregarsi agli amici.
Anche ai nuovi arrivati l'uomo continuò a indicare un posto e a dare
istruzioni, infondendo coraggio e speranza. Presto i capitani di
Sylverinn raggiunsero il gruppetto portando altri soldati e
organizzando in maniera più razionale la difesa. Dall'alto della
collina si notava un cambiamento nel tessuto sfilacciato delle truppe
di Sylverinn. Benché gli assalitori fossero quasi arrivati agli
accampamenti la loro avanzata non progrediva più, e le cariche si
infrangevano contro un nuovo sbarramento.
E giunse il re. Il Signore
di Sylverinn piombò sul campo di battaglia con la forza inarrestabile
del lampo, nella sua armatura regale risplendente nel sole
primaverile. La guardia scelta lo seguiva suonando i corni da
battaglia, incitando con alte grida i cavalli rivestiti di armature
bronzee, i generali lo precedevano con i vessilli orgogliosamente
frementi nel vento mattutino. L'apparizione fu travolgente. L'esercito
di Sylverinn accolse il suo signore con un unico ruggente grido, e si
slanciò in avanti per aprirgli la strada. Quello di Tannister si
arrestò, poiché la presenza del Sire avversario rendeva ancor più
evidente l'assenza del proprio. In breve, la situazione si rovesciò.
Ora la direzione delle truppe era rivolta verso Tannister, la sua
fanteria in ritirata, la sua cavalleria sbandata. Gli alleati
conquistati con l'oro si dissolvevano più velocemente che per effetto
di un incantesimo; chi proveniva dalle terre cedute a Tannister per
evitare la guerra tornava a riunirsi agli antichi compaesani; ogni
vassallo pensava per sé.
Il Signore di Tannister fu catturato
nell'accampamento di suo fratello, comodamente seduto nella tenda del
re nella quale era entrato da conquistatore. Fu gettato in catene e
rinchiuso in attesa del giudizio del vincitore. Il Signore di Sylverinn
non volle abbandonare il campo di battaglia senza ringraziare colui che
si diceva avesse forgiato la sua vittoria. Si narrava di un uomo che
aveva ribaltato con il suo solo coraggio le sorti della battaglia.
Cercò dunque tra i condottieri per trovare l'eroe. Strinse la mano
personalmente a tutti i capitani, a ogni capo-plotone, ai sergenti, a
tutti. Ma non trovò l'eroe che cercava. Infine uno dei suoi generali lo
scortò ad una delle tende approntate per i feriti, e lo condusse verso
la branda su cui giaceva un uomo magro, circondato da ragazzi
giovanissimi. Il Signore di Sylverinn guardò con curiosità quell'uomo.
Non gli sembrava affatto un eroico guerriero, ma si chinò ugualmente su
di lui.
- Sono venuto a ringraziarvi, mio capitano, per aver vinto la mia battaglia. Vi sono debitore.
L'uomo si alzò con fatica, sorretto da un ragazzo, e guardò il re con imbarazzo.
- Mio Sire, non merito i vostri ringraziamenti né tanto onore. Io non sono uno dei vostri capitani!
Il
re guardò con aria interrogativa i generali schierati accanto a lui.
Essi scossero la testa, confermando che l'uomo non era uno dei suoi
ufficiali.
- Soldato, il vostro valore parla per voi. Siete un veterano di grande esperienza.
Ancora più imbarazzato l'uomo si schiarì la voce, mentre i ragazzi ridacchiavano cercando di non farsi notare.
- Mio Sire, veramente non sono neppure un soldato.
Il Signore di Sylverinn apparve quasi esasperato.
- E cosa siete, di grazia?
L'uomo si mosse sul pagliericcio con una smorfia di dolore sul viso, ma infine rispose: - Sono un maestro, mio Signore.
Il re lo fissò come se non avesse capito bene.
- Un maestro di scuola, Sire. Insegno nella scuola della Contea di Trestill.
I ragazzi ridacchiarono più forte, tanto che l'uomo si girò contrariato e li rimproverò.
- Siete al cospetto del vostro re! E' questo il modo di comportarvi?
Si
voltò poi verso il re e aggiunse con aria di scusa: - Alcuni dei miei
vecchi alunni hanno perso il senso della disciplina, temo.
Il Signore di Sylverinn si sedette sulla branda come se la rivelazione gli avesse tolto molte energie.
-
Un maestro? Ma come siete riuscito a trasformare dei fanciulli
spaventati in soldati? Come avete instillato in loro tanta virtù
militare riuscendo là dove i miei più valenti capitani hanno fallito?
Il
ferito si appoggiò nuovamente all'indietro. - Ho fatto solo quello che
so fare, mio Signore. Ho detto quello che dicevo sempre: scegliete un
compagno e state accanto a lui; non date di gomito al vicino di banco;
impugnate bene la penna e state con le spalle dritte; ognuno si
concentri sul proprio compito; non lasciate in giro le vostre cose.
Quando siete lontani da casa tenetevi per mano, state vicini e state
attenti alla direzione in cui andate.
Il re finalmente sorrise.
Guardò i visi sporchi dei ragazzi e le ferite sul petto del maestro e
pensò ai morti che giacevano sul campo di battaglia. - Ebbene, allora
ditemi signor maestro. Qual è il mio compito ora? Cosa fare perché
questi orrori non si ripetano più?
Il maestro si strinse nelle
spalle. - Maestà, posso dirvi solo ciò che dico sempre ai ragazzi, e
che purtroppo nessuno ripete agli adulti: non prendete cose che non
sono vostre; se lo fate, dopo rimettetele dove le avete trovate; pulite
dove sporcate; chiedete scusa quando urtate qualcuno. Siate consapevoli
della meraviglia che c'è in ogni vita... Tutto qui. Non serve molto
altro per una vita equilibrata.
- Tutto qui, dite...- commentò il
re. - Una buona lezione signor maestro. Quando starete meglio vi
chiederò di ripeterla anche ai miei figli. Meritano il maestro migliore
del regno.
Quindi si alzò, e chinando il capo salutò con rispetto l'uomo a cui doveva la vita, il regno, la libertà.